vakki plakkula

Vakki Plakkula

2008

Album: Babirussa Capibara

  • Registrazione
  • Mix
  • Master

Vakki Plakkula: Babirussa Capibara

A detta di alcuni musicologi, la lingua italiana avrebbe peculiarità fonetiche tali di combinazione tra vocali e consonanti da essere una delle lingue il cui canto risulta più facile, e non di meno più espressivo. D’altronde la precocità degli esperimenti futuristi sulla fonetica delle parole sembra dimostrare questa considerazione. E’ così che i Vakki Plakkula iniziano Babirussa Capibara con la cantilena folle e onomatopeica delle parole “La notte pullula,” sillabe reiterate che vanno a sbattere direttamente sulla sezione ritmica serrata basso/batteria.

Epilessia fonetica diventa invece la base sonora di “Trattore” con basso, batteria e sassofono ad imitare rumori sgangherati di motori dall’olio consunto e lamiere. Ogni “padano” che si rispetti potrà riconoscere qui l’accento e il gergo specifico della campagna, con tutta la sua carica maschia e sudata.

Parziale parodia o omaggio a Demetrio Stratos sembra il canto di “Errore storico,” e l’epica vocale del caso, forsennato loop del fiato, batteria, altre onomatopee questa volta con suoni duri (“tornano gli argini giù nell’argolide”). Almeno nella parte iniziale di questo album, è una costante la ricerca di simbiosi tra suono e lettera, più che tra suono e parola. Infatti il significato dei testi è probabilmente relativamente importante anche se, purtroppo, condiziona molto l’immaginario dell’ascoltatore, il quale in questo caso si lascia volentieri andare ad un sorriso liberatorio. “Si parla sempre solo di cazzate,” diceva Carmelo Bene.

E’ allora è il momento di lasciarsi andare e scuotere testa e capelli lunghi nel falso metal di “Semi,” forte presa in giro della moda dietetico/salutista (le parole “soia” e “farro” vengono declamate come le canterebbero i Sepultura). La base musicale è potente, con lunghi stacchi sul tempo, batteria, basso e sassofono a giocare costantemente sul beat.

Canzone pop perfetta è “Se non ci fossi tu” (poi ripetuta sul finale come ghost track), che racconta in sole due frasi un amore apatico (“se non ci fossi tu ci sarebbe un’altra, ma adesso ci sei tu…vabbè…”). Sono convinto che, conoscendo le loro precedenti esperienze, i musicisti in questione si siano notevolmente sforzati di registrare questo brano senza scoppiare a ridere.

Attenzione invece al brano “Dal canto mio,” e a non farsi fuorviare dalla distruttiva base ritmica, doppia cassa, basso e sax violenti, perché ascoltata con un pò di superficialità assomiglia pericolosamente molto a “Luci a San Siro” di Roberto Vecchioni!

Rock in stile quasi anni 80 è invece la title track “Babirussa capibara,” il cui testo è costituito solamente dalla ripetizione del nome di questi due strani animali. Free e funky è “Mondo tondo,” che potrebbe essere colonna sonora di un originale spot pubblicitario. Niente di più. Scherza già dal titolo con la musica reggae invece “Irregular Ragga,” in cui i musicisti, suonando questo brano, hanno fatto di tutto per non suonare veramente reggae. Epilettico. Dentro a “Non credo” viene interpretata tutta l’esistenza di un tizio un pò folle e nichilista. Persone di questo tipo esistono davvero.

Il brano conclusivo dell’album – prima free jazz, poi rock, poi samba – si intitola “Incudine,” e invita tutti noi a fregarcene dell’esistenza e soprattutto ci libera definitivamente dall’opprimente potere intellettuale della parola.

“La vita è un’inc…udine”.


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